FESTA DI S. GIUSEPPE
Il culto di San Giuseppe, affermatosi originariamente nel corso del IV secolo presso i copti, si diffuse in Occidente intorno al IX-X secolo con la comparsa della sua memoria nel calendario dei santi con il titolo “Giuseppe, sposo di Maria”.
Ancora oggi la tradizione della festa di San Giuseppe è abbastanza viva in Sicilia e si celebra il 19 Marzo, e coincide con l’arrivo della primavera e quindi con il risveglio della vegetazione. La festa richiama arcaici culti agrari della fertilità volti ad ottenere la protezione divina sui raccolti e per i cristiani è spesso un “voto”, un modo anche per fare beneficienza ai poveri.
Volgendo uno sguardo al passato il culto di San Giuseppe viene collegato a dei culti antichi a carattere esoterico che ebbero particolare sviluppo in età ellenistica e durante l’impero romano, costituendo segni di un’ideologia piuttosto diffusa presso le civiltà cerealicole dell’aera mediterranea. Questi segni sono l’offerta votiva del pane e del grano fatto germogliare al buio, i cosiddetti giardini di Adone (figura mitologica greca alla quale viene ricondotta la nascita del grano) chiamati “lavureddi” che vengono posti votivamente e simbolicamente sull’altare allestito in onore del santo. A Giuliana la festa di S. Giuseppe viene celebrata con tre particolari costumanze: gli altari, ‘u bamminu, e le funzioni.
“L’artaru di San Giuseppi”
“Tutte le feste che si celebrano in onore di San Giuseppe condividono una caratteristica fondamentale, cioè la preparazione del banchetto collettivo che, come nelle feste di origine contadina, assume un valore propiziatorio teso ad assicurare buoni raccolti ricorrendo ai segni dell’abbondanza” (M.A. Di Leo).
Gli altari di San Giuseppe vengono allestiti in casa dalle famiglie per voto o per tradizione il 19 marzo o nella settimana precedente la festa o, comunque, entro il mese di marzo. Gli elementi principali del banchetto sono le fritture: di cardi, finocchi, broccoli, carciofi, asparagi, garufi; e il pane di San Giuseppe decorato in varie forme: quali la mano, il bastone fiorito, la barba del Santo; e il cosiddetto ”cucciddato” (buccellato), forma di pane a ciambella, con superficie finemente intagliata e cosparsa di “giugiulena” (sesamo), dedicato alla Madonna.
All’artaru fanno da cornice grandi rami di alloro, simbolo di gloria e di sapienza.Nella parete di fondo si dispone una coperta con sopra un lenzuolo ricamato che accoglie al centro il quadro di San Giuseppe con il Bambino Gesù o della Sacra Famiglia, affiancato da piante di lavureddu (lenticchie e grano fatti germogliare al buio) e fiori (balicu). Sui ripiani dell’altare si dispone il pane votivo, le fritture, la pignolata ( pasta frolla messa a friggere in olio bollente e poi amalgamata col miele a forma piramidale), la mollica (pane grattato condito con zucchero, miele, cannella, e pezzi di cioccolato), i dolci: cannoli, sfincioni e sfingi; e le brocche di vino e acqua, simboli eucaristici.
Il gradino più alto viene utilizzato per i pani rappresentanti rispettivamente:
- il bastone di San Giuseppe, simbolo del comando;
- la barba di San Giuseppe, simbolo della saggezza;
- la mano di San Giuseppe, simbolo di benedizione, nonché riferimento alla manualità artigianale del santo falegname.
Ci sono poi altre forme di pane, animali, frutti, fiori, che nascondono un complesso sistema di simbolismi religiosi. Dinanzi all’altare si dispone, poi, la mensa per i santi, cioè di coloro che siedono alla mensa che un tempo erano scelti tra i più poveri del paese. I santi variano da un minimo di tre, rappresentando San Giuseppe, Gesù Bambino e la Madonna, a un massimo di tredici (Gesù con i dodici apostoli), a seconda del numero di cucciddati promessi a San Giuseppe dalla persona che organizza l’altare.
Il padrone di casa serve i santi, provvedendo a distribuire le pietanze. I santi, dopo aver recitato una preghiera a San Giuseppe, aprono il banchetto mangiando tre spicchi d’arancia (che alludono all’opera di redenzione dal peccato originale, avendo lo stesso significato della mela che per tradizione è il frutto dell’albero del bene e del male) e un pezzetto di finocchio. I santi concludono il banchetto con una preghiera di ringraziamento, e dopo di loro si alternano alla tavola i parenti, gli amici e tutti quelli che vogliono visitare l’altare. Tutti coloro che visitano l’altare assaggiano le pietanze e ricevono il tipico pane intagliato: a cusuzza. Cadendo la festa di San Giuseppe sempre in Quaresima, è tassativamente abolita la carne.
Le promesse degli altari di San Giuseppe, che è considerato l’avvocato delle cause impossibili, nascono dal senso di insicurezza e di precarietà esistenziale dei ceti subalterni. L’altare può essere allestito a proprie spese o tramite “questua”, in questo caso di parla di santu addumannatu. Prima la donna a piedi scalzi si mortificava a girare per il paese e chiedere offerte, in natura (olio, frumento, uova) o in denaro per allestire, appunto, l’altare. Per voto o tradizione, numerosi altari venivano così allestiti presso le famiglie giulianesi sino a pochi anni fa. Oggi sopravvivono ma non numerosi come prima. Ci sono stati devoti che hanno fatto una promessa al santo “a tempo indeterminato”. Ne costituiscono esempi le promesse fatte da ex combattenti della seconda guerra mondiale, come Pietro Campisi, che ha allestito nel 2001 l’altare per la 52° volta consecutiva.
Ci sono poi famiglie che fanno l’altare di tanto in tanto per una specifica promessa, oppure più semplicemente preparano i cusuzzi distribuendole alle famiglie più disagiate del paese, a parenti ed amici. In questo caso chi riceve il pane dice: <<San Giusippuzzu tu paga>> e il donatore risponde: << Iddu ava a essiri >>.
BIBLIOGRAFIA
ANTONINO GIUSEPPE MARCHESE, La festa di San Giuseppe a Giuliana, edizioni ila palma, Palermo 2002.
VINCENZO CAMPO, GIUSEPPE SCATURRO, Il culto di San Giuseppe a Giuliana, Corleone 2003.
Ricetta:
1 kg di farina di semola di grano duro
530 ml di acqua a temperatura ambiente
10 g lievito di birra o anche meno
15 g di sale
Q.B di semi di sesamo
Mettete il lievito nella farina e fatelo sciogliere aggiungendo l’acqua a temperatura ambiente, iniziate ad impastare a mano o con planetaria, aggiungete il sale e continuate ad impastare fino ad ottenere un panetto omogeneo. Fate riposare e dividete il panetto. Modellate le forme tradizionali ed aggiungete il sesamo. Mettete in forno statico a 240 gradi, posizionate il pane nel ripiano più basso, e tenetelo a cuocere per circa 25/30 minuti. Un trucchetto per capire se è pronto è battere il fondo e vedere se ha un rumore “vuoto”.
Tempo di lievitazione circa 2/3 h
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